Fiat 128 Dossier
L'articolo completo su Automobilismo d'Epoca 05/2007
La sera del 22 aprile 1969 il Tg1 della Rai dedica uno dei suoi servizi alla nuova Fiat 128. L’inquadratura è stretta sulla ruota di un’automobile. Non c’è commento: s’ode solo il rombo del motore che sale di giri e subito dopo lo stridio d’una sgommata. E’ la partenza a tutto gas della nuova Fiat 128: il primo modello della Casa torinese a trazione anteriore. Il servizio del “tiggì” prosegue con la presentazione della vettura mentre le immagini mostrano l’auto che si allontana. Il debutto della 128 avviene in un contesto di profonda trasformazione della nazione. Sono i mesi dell’autunno caldo con aspri confronti sindacali e a Mirafiori il clima all’interno della fabbrica non è certo disteso.
Il timone dell’azienda è stato preso da Gianni Agnelli che si trova ad affrontare un momento di profondo rinnovamento: sia nelle strutture organizzative, sia in quello tecnico. E la scelta di adottare la trazione anteriore ne è il sintomo più chiaro. Il compito cui è chiamata la nuova 128 è impegnativo visto che deve sostituire uno dei cavalli di battaglia della Casa torinese come la 1100 R, oramai giunta al capolinea, ma che fin lì era stata apprezzata da una vasta schiera di clienti. Fare qualcosa di nuovo che ripeta il successo del vecchio modello senza farlo rimpiangere: questa, in sintesi, la scommessa che lo staff dirigenziale della Fiat, che può contare ancora sulla direzione tecnica di Dante Giacosa. L’obiettivo verrà centrato già dal primo anno di produzione (che può essere compreso indicativamente tra la primavera del 1969 fino alla primavera del 1970) quando ne furono vendute circa 60.000 (oltre alle 4.800 unità all’incirca della versione familiare). Si tratta di un risultato notevole, inferiore, per cifre di vendita tra le vetture Fiat, soltanto alla 500 L.
La nuova vettura è un deciso passo in avanti sotto molti punti di vista rispetto alla 1100 R. E’ un po’ più corta, ma è più larga: questione di centimetri, che abbinati all’eliminazione del tunnel di trasmissione e alla sistemazione degli organi meccanici nella parte anteriore, ruota di scorta compresa, permettono di guadagnarne molto volume utile per ospitare fino a cinque persone e relativo bagaglio. In più è un’auto scattante, veloce, e al tempo stesso parca nei consumi ed economica nella manutenzione. E’ così che si diventa il punto di riferimento per molte famiglie.
La nuova 128 viene proposta in due versioni, a due o a quattro porte: un’altra scelta che ne fa un’auto importante dal punto di vista produttivo visto che è la prima Fiat dei tempi moderni (il precedente era stato la Balilla) a far propria questa soluzione. Con la due porte la Casa torinese strizzava l’occhio ai mercati di lingua tedesca, dove questa soluzione era apprezzata da chi viaggiava per lo più da solo o da chi aveva figli piccoli. In più ne guadagnava la sportività, perché dava alla 128 una vaga somiglianza ai coupé di scuola tedesca. La versione a due porte si distingueva per la calandra priva del fregio orizzontale, la portiera più lunga, il montante posteriore più stretto e per l’assenza del deflettore fisso al finestrino dietro.
La linea, a tre volumi, pur con il contenuto sbalzo posteriore, poteva sembrare anche troppo tradizionale. Ma va considerato che, allora, i clienti avevano una scarsa propensione verso le carrozzerie a due volumi, e sarebbe stato rischioso introdurre un’ulteriore innovazione in una vettura in cui ne erano state introdotte già molte, come la trazione anteriore e la disposizione del motore trasversale, la cui positiva accoglienza non era così scontata come oggi si potrebbe pensare.
Il motore stesso, progettato da Aurelio Lampredi, era integralmente nuovo. Era un’unità di 1116 cc per 55 CV-DIN di potenza. Aveva la distribuzione monoalbero a camme in testa (altra novità) comandato da una cinghia dentata invece che dalla tradizionale catena. Per arrivare a questo risultato ci si avvalse dell’esperienza maturata con l’Autobianchi Primula, che servì per progettare una vettura il cui gruppo motopropulsore, oltre ad essere caratterizzato da una notevole compattezza, era anche più leggero e potente di quello di derivazione Fiat 1100 D (e in seguito 124) montato sulla berlina di Desio. Gli studi sul modello X1/1 (la sigla di progetto della futura 128), che iniziarono a metà degli Anni ’60, prevedevano inizialmente due motorizzazioni: una versione base, con cilindrata da 800 a 1000 cc, e una di più alta gamma che si sarebbe dovuta collocare tra i 1100 e i 1200 cc. Le esperienze presero perciò avvio montando il motore della 850 in posizione anteriore trasversale su uno dei prototipi, nell’attesa che fosse pronto il nuovo e definitivo propulsore. La motorizzazione con cilindrata inferiore fu però abbandonata e la gestazione della 128 proseguì in funzione del nuovo motore, per dare vita ad una vettura che di fatto avrebbe dato l’avvio, negli anni a venire, a una nuova impostazione tecnica e stilistica dei modelli Fiat.
Riuscito compromesso fra tradizione e modernità, la sua carrozzeria a tre volumi accontentava i fedelissimi della Marca ma seppe conquistare anche chi già possedeva vetture straniere attorno al litro di cilindrata. Il suo punto forte era la grande abitabilità in rapporto alle contenute dimensione esterne. Ma era apprezzato anche il generoso motore che assicurava anche elevate medie autostradali. La velocità massima, inizialmente (e con eccesso di prudenza) dichiarata in “oltre 135 km/h”. Ma era in realtà più elevata di almeno cinque chilometri orari, tanto che la stessa Fiat, in seguito, corresse la dichiarazione in un più realistico 140 km/h. Nella sua prima veste la 128 presenta una calandra con grandi fari circolari inseriti una griglia color alluminio, formata da piccoli esagoni e divisa a metà da un profilo orizzontale cromato recante al centro il marchio Fiat. Il retaggio stilistico degli Anni ’60 è visibile nelle classiche coppe ruota cromate e nei paraurti con i caratteristici e lunghi rostri gommati. Nella parte dietro i gruppi ottici sono invece rettangolari a sviluppo orizzontale, con i catadiottri sistemati al di sotto. Il ricorso alle cromature come elemento d’arricchimento del disegno è limitato all’essenziale: le parti cromate sono inserite soprattutto nelle cornici dei cristalli, attorno ai gruppi ottici e come contorno della griglia del radiatore. La fiancata, a parte un profilo sottoporta e le maniglie, è invece priva del consueto (per il periodo) listello che sottolinea la linea di cintura, sostituito da una semplice piega della lamiera.La vetratura laterale, a quattro luci, presenta i comodi deflettori alle portiere (apribili quelli anteriori), mentre lungo i montanti e all’estremità del padiglione c’è la pratica grondaia (o gocciolatoio), utile per evitare la “doccia” all’apertura delle porte quando piove.
All’interno il cruscotto conta due elementi circolari, mentre i rivestimenti e la selleria riprendevano forme e stili d’arredo in linea con quanto la Casa proponeva sulle proprie berline. C’era piuttosto una cosa a cui i clienti delle vetture Fiat di media gamma non erano abituati e che faceva percepire l’abitacolo in forma diversa dall’usuale: il pavimento era completamente piatto, senza il consueto tunnel della trasmissione che in qualche modo separava i sedili. Non c’era nulla in mezzo: solo la leva del cambio e quella del freno a mano. E questo aspetto - anche oggi - continua a sembrare inusuale visto che, nel corso degli anni, quello spazio è stato riempito dalle Case con accessori e strumenti di ogni tipo.
Pochi mesi dopo la presentazione della 128 nelle versioni 2 e 4 porte, fu affiancata nell’ottobre del 1969, anche la versione giardinetta: una familiare a tre porte con il portellone posteriore a sollevamento verticale. Questo modello mantenne il fregio orizzontale sulla calandra. Nel novembre 1972 la prima serie subì un face-lifting che eliminò i rostri ai paraurti a favore di una riga gommata. La novità più visibile fu la nuova griglia anteriore a quadretti di plastica nera, attraversata da quattro profili orizzontali cromati. Al centro si trovava il marchio Fiat nella nuova caratterizzazione a rombi. Le cornici dei fari diventavano anch’esse nere. La vista laterale mostrava le nuove coppe ruota con al centro il marchio Fiat su fondo nero opaco, che richiamava lo stesso colore dell’impugnatura delle maniglie. Nella parte dietro i catadiottri venivano inseriti nei gruppi ottici. Dentro l’abitacolo le modifiche coinvolgevano il nuovo volante e la plancia. La meccanica si arricchiva del servofreno, mentre il motore restava l’apprezzato quattro cilindri della versione precedente. La gamma dei colori si arricchiva di un caratteristico verde chiaro. Nel mercato europeo, in costante evoluzione, l’ottima salute della 128 era confermata anche dai brillanti risultati di vendita ottenuti un po’ ovunque.
A questo riguardo - oltre al riconoscimento “Auto dell’Anno” attribuitole nel 1970 - c’è da ricordare un significativo episodio. Quando Giorgio Giugiaro (designer della Golf) si recò in Volkswagen vide una 128 tutta smontata… I tecnici tedeschi la stavano studiando per capire com’era stata progettata e costruita: era così ben realizzata da diventare un punto di riferimento anche per i solidi e precisi tecnici teutonici.
L’espansione vera e propria della gamma è 1974, anno in cui entrò in listino la 128 berlina con cilindrata di 1290 cc. Questa soluzione motoristica era già messa in atto con la Rally del 1971 e con il coupé (delle quali parleremo in un’altra occasione). L’obiettivo, in questo caso, non era l’aumento delle prestazioni, cosa che avrebbe sovrapposto il nuovo modello alla sportiva Rally. Piuttosto, con la Special 1300 si volevano soddisfare i clienti che desideravano un più completo grado di finitura, abbinato alla migliore guidabilità che derivava dal più elevato “tiro” del motore ai bassi regimi ottenuto con l’incremento di cilindrata. L’aumento di potenza fu comunque contenuto in cinque cavalli anche se se ne potevano spremere molti di più. L’aumento della velocità di cinque chilometri orari portò all’adeguamento del fondo scala del tachimetro da 160 a 170 orari.
Nella Special l’allestimento esterno era stato arricchito da una calandra dal disegno più elaborato, dall’aggiunta di un profilo gommato lungo la linea di cintura e -finalmente - dall’adozione delle luci di retromarcia poste sotto ai gruppi ottici posteriori. La scritta identificativa, in basso a destra, recava l’aggiunta della dicitura “Special” con l’indicazione della cilindrata sul bordo del cofano in alto a sinistra. All’interno le migliorie riguardavano i sedili, rinnovati nella forma e nel rivestimento. Nuovi anche il volante a due razze con corona rivestita in finta pelle, il cruscotto con palpebra e il vano portaoggetti, sostituito da un cassetto chiuso da uno sportello. Altra nota migliorativa era il pavimento ricoperto da moquette, che sostituiva il precedente in gomma. La meccanica della 1300 Special (nella consueta variante a due o a quattro porte) differiva sostanzialmente per la diversa cubatura del motore. Il resto non cambiava.
Per quanto riguarda il consumo di carburante la 1300 si accontentava di poco, tanto che la percorrenza media con un litro era vicina a quella della versione di minor cilindrata.
Nel frattempo le nuove esigenze dettate dal mercato che ancora risentiva dei postumi della crisi energetica, unite al debutto di agguerrite concorrenti (in primis l’Alfa Romeo Alfasud e la VW Golf), imposero un aggiornamento della 128. Infatti la versione di minor cilindrata nel 1975 aveva accusato un consistente calo di vendite, solo in misura minima compensato dalla crescita della sorella 1300.
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