spiegazione dettagliata
Cambio, in generale
E’ un meccanismo che varia, a seconda delle diverse situazioni, il rapporto di trasmissione e quindi le caratteristiche della potenza (coppia motrice e velocità di rotazione) che arriva alle ruote. Serve a ovviare un difetto congenito dei motori a combustione interna, vale a dire la scarsa disponibilità di coppia ai bassi regimi. La forza necessaria per muovere un veicolo è massima quando esso deve partire da fermo, in particolare se ciò avviene in salita. In questa situazione, la coppia motrice deve essere moltiplicata opportunamente per vincere l’inerzia che si oppone al movimento, inerzia proporzionale alla massa del veicolo e all’accelerazione che gli si vuole conferire. Per questo i cambi automobilistici hanno una prima marcia con un rapporto di riduzione di solito superiore a 3 (ossia il numero di giri in uscita dal cambio è 3 volte più piccolo rispetto a quello dell’albero motore e la coppia del motore aumenta di tre volte). Infatti, la potenza non è altro che il prodotto della velocità di rotazione per la coppia motrice e, pertanto, a parità di potenza (supponendo cioè in prima approssimazione che il cambio non sottragga potenza), se si divide per 3 il numero di giri si ottiene, come risultato, di moltiplicare per 3 la coppia motrice. Il funzionamento del cambio di una vettura è identico a quello di una bicicletta: in «prima» i giri del motore (corrispondenti al numero di pedalate al minuto) sono molto elevati e la velocità ridotta, ma in compenso il sistema (motore o gambe che siano) riesce ad esercitare uno sforzo adeguato a far procedere il veicolo anche su pendenze molto ripide. Su una strada pianeggiante, però, se non ci fossero altri rapporti a disposizione, il motore (o le gambe) girerebbe all’impazzata senza un apprezzabile aumento della velocità. Occorre quindi disporre di almeno quattro marce, passando per esempio a un rapporto di riduzione di 2 a 1 (2 giri del motore per 1 giro delle ruote), alla presa diretta (1 giro del motore per 1 giro delle ruote) o, addirittura, a un rapporto di moltiplica (per esempio, 1 giro del motore per 1,3 giri delle ruote). Schematicamente, un cambio automobilistico è un meccanismo che accoppia un certo numero di ingranaggi collegati all’albero motore (detti conduttori) con altri ingranaggi (detti condotti) che di volta in volta sono i più utili all’andatura desiderata e che caratterizzano il rapporto di trasmissione. Può essere sia manuale sia automatico e, nel primo caso, dotato o meno di sincronizzatori. In uno schema comune e moderno il cambio è costituito da due o tre alberi e gli ingranaggi (che definiscono i vari rapporti di trasmissione) sono tutti agganciati tra loro a coppie; di queste coppie solo uno degli ingranaggi gira solidale col suo albero, l’altro è “folle”. A fiando dell’ingranaggio “folle” trovasi un manicotto (selettore) con sincronizzatore* che invece ruota solidale con l’albero ma può muoversi lungo esso spinto dalle forcelle collegate alla leva del cambio. Accostando di volta in volta uno dei sincronizzatori ad uno degli ingranaggi “folli” si ottiene l’innesto di una marcia corrispondente alla coppia di ingranaggi in gioco.
Cambio automatico
Non richiede l’intervento del guidatore né sul pedale della frizione (che quindi viene eliminato), né sulla leva del cambio (sostituita da un altro selettore con funzioni “elementari”: avanti, indietro, parcheggio). Può essere a tre o più rapporti oppure a «variazione continua» (CVT). In un cambio automatico tradizionale, gli ingranaggi sono diversi da quelli delle trasmissioni manuali poiché vengono utilizzati ruotismi epicicloidali*. Il disco della frizione è sostituito da un convertitore di coppia* idraulico. I più recenti automatici hanno quattro o cinque marce, sono gestiti dall’elettronica, consentono di selezionare il tipo di funzionamento preferito (di solito «economico» o «sportivo») e non hanno slittamenti interni al convertitore di coppia riducendo così il consumo di combustibile. I più sofisticati hanno una gestione «adattativa» dei cambi marcia, ossia la capacità di adeguarsi allo stile di guida del conducente (AGS). Per le vetture di potenza non elevata si stanno diffondendo i variatori continui di velocità CVT, con un numero infinito di rapporti. Il rendimento del cambio automatico su un percorso standard (ciclo europeo di consumo) porta a un maggior consumo di carburante attorno al 10% (anche per il maggior peso) un divario che comunque sta progressivamente scendendo. Infine rientrano tra i cambi automatici anche quelli robotizzati*, cioè del tipo manuale dove la manualità è stat sostituita dagli attuatori a controllo elettronico. Nel 1997 si vendeva una vettura su due col cambio automatico (1% in Italia - 80% in USA).
Cambio semiautomatico
Con una trasmissione di questo tipo viene eliminato il pedale della frizione, ma è il guidatore a scegliere e a innestare manualmente le marce, al contrario di quanto avviene con un cambio automatico*. Se ne conoscono tre tipi. 1) Abbinato alla trasmissione automatica e in alternativa ad essa, è un cambio sequenziale automatico. 2) La frizione automatica o automatizzata dove spostando la leva di un normale cambio manuale si aziona un servomeccanismo che apre la frizione. 3) Il cambio sequenziale meccanico propriamente detto, che aziona frizione e cambiate in sequenza in risposta ai comandi di un leveraggio o di bottoni di salita e scalata.
Cambio a innesti frontali
Privo di sincronizzatori, è utilizzato sulle auto da competizione poiché consente innesti molto veloci delle marce ed è, generalmente, più compatto e robusto dei cambi utilizzati sulle vetture di serie. Richiede abilità, sensibilità ed esperienza per evitare «grattate» o impuntamenti.
Cambio a Variazione Continua - CVT
Il CVT è un cambio automatico che consente di passare dalla marcia più corta a quella più lunga attraverso una gamma infinita di rapporti intermedi E ANCHE DI CAMBIARE SOTTO CARICO. Rispetto ai cambi tradizionali (che nel 1999 può sostituire solo su vetture di potenza limitata, 100 kW circa, per incrementi successivi vedi oltre), migliora il confort di marcia perché non si avvertono strappi durante il passaggio da un rapporto all’altro. Per le auto il più diffuso è quello della Van Doorne, che si rifà al tipo (“Variomatic”) installato fin dagli anni Cinquanta sulle olandesi Daf (1958). Costruttivamente è più semplice di un automatico convenzionale; oltre al convertitore di coppia (ma ce ne sono anche a frizione) esso infatti è costituito da due pulegge con gole a «V», che si stringono o si allargano contemporaneamente, sotto l’azione di un cilindro idraulico (o di un motore elettrico), in modo da far variare il rapporto di trasmissione (fino a circa 6 volte, da 1/2 a 1/13 circa), e nelle quali si muove per attrito una cinghia trapezoidale , larga da 2 a 4 centimetri, che in passato era di gomma e che ora, invece, è costituita da un gran numero di sottili tasselli metallici (acciaio o alluminio) o da una catena. ECVT è un cambio CVT con gestione elettronica. La gestione elettronica ha permesso di presentare (Nissan, Audi e Subaru) il CVTip. Un altro tipo di CVT (detto toroidale) sviluppato da Nissan è costituito da due “semicarrucole” affacciate, una con l’asse motore e l’altra con l’asse di trasmissione. Una cinghia nella gola porta il moto da uno all’altro. La variazione di rapporto è ottenuta deformando progressivamente la cinghia in modo che il diametro su cui calza sulla semicarrucola motrice è diverso da quello su cui calza sulla semicarrucola condotta. Nei CVT la cinghia può essere tirata o spinta; nel primo caso essa è in fibre sintetiche (aramide ecc.) o è una vera e propria catena metallica, nel secondo caso è a tasselli metallici e necessita di un raffreddamento a bagno d’olio. Abbinato al motore c’è un convertitore di coppia o una frizione magnetica - frizione a dischi multipli a controllo elettronico per l’Audi - che abbina il motore a un rapporto fisso di trasmissione (in genere circa 2:1) poi, verso i 10 km/h il rapporto tra le pulegge supera quello fisso ed entra in funzione il CVT che va fino a un rapporto di circa 0,5:1. Attualmente sono gestiti elettronicamente, mentre in passato erano comandati utilizzando la depressione nel collettore di aspirazione e dal numero di giri del motore. Possono lavorare con coppie dell’ordine max. di 300 Nm (270 Nm, ZF, luglio 98 - 387 Nm, Nissan “Extroid”, 1999 - 310 Nm, Audi A4 e A6 “Multitronic”, 2001) ma nei prossimi anni, grazie all’apporto della gestione elettronica e al miglioramento convertitore di coppia o delle frizioni, dovrebbero raddoppiare le prestazioni. La Nissan ha messo a punto un sistema (Extroid CVT) che consiste in due dischi, uno di entrata e uno di uscita, in cui il moto rotatorio viene trasmesso tra i due attraverso rullini di trasmissione. Variando l’inclinazione dei rullini si varia la zona di contatto e quindi il rapporto di trasmissione. Permangono problemi di rendimento in quanto il cambio assorbe potenza agli alti regimi e con vettura ferma la pompa idraulica assorbe comunque una certa potenza, tuttavia la possibilità di far lavorare il motore nelle zone di massimo rendimento limita gli inconvenienti.
Cambio adattativo (AGS) - DSP (Dinamishes Schaltprogramm)
Adaptive Gearbox Shift, ovvero gestione «adattativa» di un cambio automatico. E’ un sistema che adegua continuamente l’innesto delle marce alle esigenze dell’automobilista e al suo stile di guida. Con le classiche gestioni di tipo idraulico e con molte di tipo elettronico, le cambiate non avvengono sempre in modo ottimale e, comunque, non possono adattarsi alle differenti caratteristiche di guida di ogni conducente. Per ridurre questo inconveniente è stato introdotto un interruttore che consente di selezionare il tipo di funzionamento preferito (di solito «economico» o «sportivo»), così da anticipare il passaggio al rapporto superiore o sfruttare tutto l’arco di utilizzo del motore, fino al regime massimo. Anche questa, comunque, non è la soluzione ottimale, perché è pur sempre un compromesso che non riesce a soddisfare tutte le esigenze. Per migliorare ulteriormente il funzionamento degli automatici è stato quindi sviluppato un controllo elettronico adattativo di tipo continuo (autoadattativo detto anche proattivo). I dati relativi alla rapidità del movimento del pedale dell’acceleratore, alla sua posizione e alla frequenza con cui si trova a fondo corsa o al minimo vengono rilevati e confrontati con alcuni parametri, tra i quali la velocità della vettura, la marcia inserita, l’accelerazione longitudinale e trasversale, il numero degli interventi sui freni, il regime termico del motore. Se per un certo tratto la centralina registra, per esempio, che l’acceleratore è rilasciato e contemporaneamente il guidatore frena frequentemente, l’elettronica AGS capisce che l’auto sta affrontando una discesa e quindi provvede a scalare marcia automaticamente. Altro caso è quando la centralina rileva un’accelerazione trasversale notevole, che corrisponde alla percorrenza di una curva. Con un automatico convenzionale se il guidatore toglie gas avviene il passaggio al rapporto superiore, con il rischio di destabilizzare l’assetto, mentre con il controllo adattativo viene evitata l’inutile cambiata. Altra situazione di guida nella quale l’autoadattativo mostra la sua utilità è nei sorpassi. Per scalare marcia rapidamente con un automatico tradizionale occorre premere a fondo l’acceleratore (operazione detta «kick-down»), con un AGS, invece, la scalata viene effettuata appena si preme molto rapidamente il pedale, senza dover schiacciare a tavoletta. Inoltre, qualora il guidatore dovesse interrompere il tentativo di sorpasso rilasciando bruscamente l’acceleratore, l’elettronica autoadattativa capisce che non deve innestare il rapporto superiore ma mantenere la marcia opportuna per la successiva accelerazione. Il cambio è anche correlato da sensore che avverte che la vettura è in discesa (che è poi come quando decelera) e anche in questo caso le marce inferiori vengono lasciate in funzione di sfruttare il freno motore.
Cambio automatico Antonov
E’ un cambio automatico a più marce, dove la tradizionale regolazione idraulica del cambio dei rapporti viene eliminata utilizzando invece forze di tipo meccanico esistenti all’interno del cambio: le forze centrifughe delle masse in movimento rotatorio e le forze assiali che si sviluppano negli accoppiamenti degli ingranaggi elicoidali. Risulta più leggero e compatto del cambio automatico tradizionale, ma non gestibile con raffinatezze elettroniche.
Cambio manuale automatizzato
Consente cambi di marcia velocissimi, perché viene azionato non dai tradizionali leveraggi, ma da pulsanti o levette collegate ad una centralina elettronica che comanda appositi «attuatori» elettrici o idraulici (“by wire”). Le prime applicazioni, a partire dal 1988, hanno riguardato le monoposto di «formula 1». La Magneti Marelli ha messo a punto un sistema, chiamato «Selespeed», che può essere montato anche su vetture di serie dotate di un normale cambio sincronizzato o a innesti frontali. I vantaggi consistono nella massima rapidità di cambiata e nell’eliminazione di qualsiasi sforzo sulla leva, che può essere sostituita da pulsanti o da un «joystick». Le migliori prestazioni si hanno abbinando l’automazione del cambio a quella della frizione e utilizzando una farfalla motorizzata che gestisce, sempre automaticamente, la potenza del motore durante i cambi di marcia senza obbligare il guidatore a sollevare il piede dall’acceleratore (cambio robotizzato).
Cambio meccanico robotizzato
In funzione del loro minor costo rispetto ai cambi automatici epicicloidali, trovano impiego cambi del tipo di quelli manuali dove però gli innesti e la scelta dei rapporti sono tutti guidati dall’elettronica e quindi manca il pedale della frizione e la leva tradizionale del cambio (ce n’è una come quella dei cambi automatici). Ciò grazie a un’elettronica funzionale alle esigenze della motricità e delle intenzioni del pilota . I comandi possono essere idraulici (Magneti Marelli, BMW, Getrag, Sachs) oppure elettrici (Valeo) e allora è essenziale il contributo di un alternomotore* per l’avviamento e fornitura di energia. Dal 2000 sono in commercio col nome di Quickshift ( RenaultTwingo) oppure Selespeed (Ferrari, Fiat, Alfa e Mercedes) e hanno tutte le operazioni eseguite in automatico da attuatori elettrici o idraulici comandati da elettrovalvole. Il guidatore, mentre conduce, ha a disposizione la funzione “drive” e/o la selezione manuale (es. Opel Easytronic) e anche la funzione sequenziale.
Cambio sequenziale automatico
Cambio automatico, utilizzato da Porsche, BMW (che lo chiama Steptronic) e Audi (che lo chiama Tiptronic), dotato di un’elettronica di gestione particolarmente raffinata. Può essere usato come un cambio meccanico di tipo sequenziale semplicemente spostando la leva del selettore su una griglia affiancata a quella convenzionale. Ad ogni impulso sulla leva (in avanti o indietro) si ottiene il passaggio al rapporto superiore o a quello inferiore. L’elettronica permette di gestire il bloccaggio del convertitore di coppia e le cambiate in modo confacente alla guida sportiva, riducendo gli slittamenti e impedendo i cambi di marcia in curva e in tutte le altre situazioni in cui sarebbero in contrasto con le intenzioni del guidatore.
Cambio sequenziale meccanico
Di derivazione motociclistica, e abbinato a una frizione automatica, è più rapido e facile da usare di un cambio tradizionale: spingendo avanti la leva si inserisce la marcia inferiore, tirandola indietro si seleziona il rapporto superiore (o viceversa). Può consistere anche in due levette poste dietro il volante, una per salire e una per scalare, manovrabili senza staccare le mani dal volante. Recentemente ha trovato crescente diffusione sulle vetture da competizione, in particolare dalla stagione 1994 sulle «formula 1» (dopo la proibizione dei cambi automatizzati*) e sulle «Superturismo». Con un «sequenziale», sia in scalata sia in salita si deve passare attraverso tutte le marce, non essendo possibile, come anche sulle motociclette, saltare un rapporto. Per ovviare a questo comportamento, che potrebbe essere fastidioso per chi non avesse velleità sportive, il centro ricerche Porsche di Weissach ha messo a punto un cambio sequenziale, chiamato «Quickshift», dotato di un servomotore che consente di scalare immediatamente fino alla prima marcia quando si sposta lateralmente la leva del selettore. Stesso effetto col cambio “sequentronic” della Mercedes. In un cambio sequenziale meccanico ad ogni colpetto in avanti o in dietro della leva si fa ruotare un tamburo selettore, posto parallelamente ai due alberi porta ingranaggi, che ha incise delle scannellature (cave sagomate). Queste hanno un grano che fa da guida per delle forcelle che, di conseguenza si muovono assialmente e spostano i sincronizzatori montati (ovviamente) sull’albero che porta gli ingranaggi folli, rendendone solidale uno alla volta, corrispondentemente alla marcia inserita.
_________________ BMW 330xd touring '06 Fahrer
|