INDUSTRIA E FINANZA
FCA-Renault
Gli Agnelli primi azionisti, poi Macron
Il gruppo FCA ha proposto alla Renault una fusione "alla pari" che porterà alla creazione del terzo maggior produttore automobilistico al mondo. Cosa significa per gli attuali azionisti delle due società una proposta del genere? E quali sono le implicazioni sul fronte della governance della presenza di uno Stato come la Francia? Non è al momento facile dare risposte ben precise. Innanzitutto perché si tratta di una proposta non vincolante che dovrà superare numerosi ostacoli in fase negoziale per non parlare degli scogli normativi, dei diversi passi da compiere in un iter già oggi visto molto lungo (oltre un anno per l’amministratore delegato Mike Manley) e delle forti differenze operative.
Serve allineare i valori di Borsa. Di certo la Fiat Chrysler Automobiles parte da una posizione di forza rispetto alla Renault. Le sue vendite, nel 2018, si sono attestate a 4,8 milioni di unità, circa un milione in più rispetto ai 3,9 milioni dei francesi. Inoltre il fatturato di 115,4 miliardi è quasi il doppio rispetto ai 57,4 miliardi della Renault, l'utile operativo di 7,3 miliardi si confronta con 3,6 miliardi e l'utile netto di 5 miliardi con 3,45 miliardi. Simile il margine operativo, pari al 6,3% circa. In Borsa, però, le differenze sono meno marcate: FCA vale circa 17,8 miliardi e la Renault poco meno di 15 miliardi. La differenza è legata per lo più al fatto che i francesi detengono il 43% della Nissan e con questa formano un'Alleanza capace di vendere e produrre più di 10 milioni di veicoli negli ultimi anni con il contributo della Mitsubishi. Per procedere con una fusione alla pari, la Fiat Chrysler si è impegnata a procedere con due operazioni che ne andranno a ridurre la valorizzazione di mercato. La prima riguarda la distribuzione di un dividendo straordinario agli azionisti di 2,5 miliardi: spesso lo stacco di una cedola riduce di un pari importo il valore di Borsa di un qualsiasi titolo quotato. Dunque il valore della FCA scenderebbe a poco più di 15 miliardi. Per abbassare ulteriormente tale valutazione è previsto anche lo scorporo della Comau oppure l'erogazione di ulteriori cedole per 250 milioni. A questo punto le due valutazioni sarebbero sostanzialmente allineate consentendo di definire uno scambio di azioni alla pari tra le due attuali società e quindi concretizzare l'obiettivo della fusione paritetica.
Agnelli primi azionisti. Essendo l'intera operazione solo agli albori è difficile prevedere quale possa essere il futuro azionariato del nuovo gruppo ma qualche stima è già emersa. Attualmente la Exor della famiglia Agnelli detiene il 29% del capitale della FCA mentre l'azionariato della Renault vede la Francia e la Nissan detenere entrambe il 15%. Nella proposta di fusione non è previsto che inizialmente siano concessi diritti di voto raddoppiati come nel caso sia della Exor per FCA che della Francia per Renault: la prima ha circa il 42% dei diritti di voto e la seconda il 28%. Secondo la stampa transalpina la famiglia torinese avrà il 14,5% della società frutto della fusione, mentre la Francia e i giapponesi avranno il 7,5%.
L'influenza transalpina. Dunque la nuova società, che come l'attuale FCA avrà sede in Olanda, vedrà gli Agnelli come primi azionisti e la presenza nell'azionariato di un terzo incomodo spesso pesante da contenere come l'Eliseo. La Renault è diventata statale nel lontano 1945 per effetto di una nazionalizzazione successiva alle tragiche vicende del suo fondatore Louis Renault, arrestato per collaborazionismo con i nazisti e poi morto in carcere in circostanze misteriose. Il controllo rimane pienamente in mani pubbliche fino al 1996 quando lo Stato scende al di sotto del 51% tramite una delle tante privatizzazioni messe in atto durante gli anni '90 in tutta Europa ma la Francia ha sempre voluto mantenere una presa salda e spesso influente. A dimostrarlo sono il sostegno nel 1999 all'accordo per il salvataggio della Nissan e nel 2015 l'aumento della partecipazione fino a quasi il 20% per far sì che l'assemblea approvasse il raddoppio dei diritti di voto. Proprio questa iniziativa è stata uno dei maggiori fattori di tensione recenti con la Nissan. I giapponesi, da sempre preoccupati di subire l'eccessiva influenza transalpina, accettano con molta difficoltà di avere solo il 15% della Renault e senza alcun diritto di voto mentre i francesi hanno il 43% della Nissan con pieni poteri. Solo grazie all'opera di pacificazione dell'ex presidente Carlos Ghosn la Francia ha accettato di sterilizzare la sua influenza indiretta sulla Nissan. Come? Attraverso accordi e vincoli di governance esplicitamente elaborati per preservare l'autonomia e l'indipendenza della Casa di Yokohama.
Il caso Luxottica-Essilor. Accordi di governance ben definiti sono destinati, o dovrebbero esserlo, a diventare una 'conditio sine qua non' anche per FCA per evitare che la Francia assuma una posizione troppo intraprendente o comunque ondivaga. Stando a molte ricostruzioni è stata proprio la Francia a rigettare due anni fa una prima offerta di fusione tra la Renault e gli italo-americani mentre oggi il suo governo si è detto favorevole alla proposta FCA. Del resto il caso vuole che le grandi realtà aziendali francesi, che spesso trovano un forte sostegno politico nelle loro scorribande sui mercati esteri, diventino fonti di tensioni e scontri tra azionisti. E' il caso della Telecom con la Vivendi, ma ancor di più della multinazionale dell'occhialeria Luxottica con la francese Essilor. Anche in questo caso si tratta di una fusione alla pari che ha portato l'imprenditore Leonardo Del Vecchio a diventare il primo azionista di un gruppo ancor più grande della sua creatura. Peccato che i patti iniziali sulla nomina del management siano stati quasi subito disattesi dai dirigenti francesi, desiderosi di imporre le loro idee e la loro visione manageriale nonostante il peso dominante di Del Vecchio. E come non ricordare il tentativo della Fincantieri con i cantieri di Saint-Nazaire con l’operazione di acquisizione messa a dura prova dai tanti ostacoli alzati dal presidente Emmanuel Macron? Insomma gli accordi sulla governance dovranno includere precise indicazioni sulla sfera di influenza dei vari azionisti per non ritrovarsi con uno Stato, quello francese, che decide le sorti industriali di un altro Stato, quello italiano. Il compito di vigilare potrebbe comunque essere affidato a un italiano per quanto nato a New York e cresciuto tra il Brasile e Parigi: John Elkann è accreditato come possibile nuovo presidente della società frutto della fusione mentre l’amministratore delegato dovrebbe essere Jean-Dominique Senard, attuale numero della Renault.
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