Dopo aver smontato dalla guardia e dopo un buon sonno ristoratore posso finalmente scrivere una piccola memoria del dipartito, uno che nella storia dell’auto ha avuto il suo peso.
Piech nasce nel 1937, nipote di Ferdinand Porsche, figlio di Louise Porsche (quella con le palle rispetto a Ferry, parole di Wolfgang Porsche). Ferdinand Karl una volta disse che voleva diventare più di successo di suo nonno, un‘ affermazione quantomeno iperbolica se tuo nonno ha creato il maggiolino. Non c’è dubbio che nei libri di storia ci si ricorderà più di Ferdinand Porsche che di Ferdinand Piech eppure più avanti dimostrerò che Piech ha avuto pienamente ragione.
Ferdinand Porsche fu sicuramente uno dei più importanti ingegneri del XX secolo però non creò una fortuna per sé stesso, quel (relativamente) poco che fece lo dovette alla furbizia del genero Anton Piech. Dopo la guerra i nobili dell’auto europea erano gli Agnelli o i Peugeot, non certo i Porsche.
Piech entrò nell’azienda di famiglia nel 1963, imposto dalla madre Louise. Fino ad allora i Piech avevano amministrato con successo la Porsche holding Salzburg mentre i Porsche guidavano appena in pareggio il costruttore sportivo.
Lì iniziano gli scontri e i reciproci odi con il resto della famiglia. Nessuno aveva il talento di Ferdinand, neanche Ferdinand Alexander (Butzi), il designer della prima 911. Piech non ne faceva mistero e si lanciava in giudizi al vetriolo nei confronti di fratelli e cugini. “Loro (i Porsche) cantavano e ballavano alla Waldorf Schule mentre io studiavo come un pazzo alla TU di Lucerna per rendere competitiva l’azienda di famiglia”. “ voi (cugini Porsche e fratelli Piech) siete dei porcellini d’India, io sono un cinghiale”. Piech comandava come un’elefante in cristalleria, spese cifre enormi pur di trionfare a Le Mans. Il trionfo arrivò ma portò la Porsche quasi al collasso. La situazione diventò talmente tossica che si decise di far ritirare tutti i Porsche e i Piech dalla conduzione dell’azienda. Da allora Piech (che così, en passant, sedusse la moglie del cugino Gerhard Porsche, giusto per farsi odiare di più) inizia la scalata alla Vw. Non tutti sanno che Daimler-Benz lo assunse immediatamente dopo il licenziamento dalla Porsche ma dopo 6 mesi disperati dall’atteggiamento tirannico di Ferdinand lo accompagnarono alla porta. Nel 1972 comincia l’avventura all’Audi che nessuno, neanche all’interno dell’azienda poteva vedere come rivale di BMW e di Mercedes. Qui Piech dimostra una capacità che spesso viene messa in secondo piano rispetto alla sua brillantissima carriera di ingegnere: il corporate fighter. L’ascesa di Audi fu fatta praticamente all’oscuro della dirigenza Vw, Piech rideva quando dal Vorstand gli facevano notare che i budget dovevano essere rispettati. Riuscì sempre a salvarsi la carriera senza mai scendere a compromessi. Nel 1992 Piech non era per niente il candidato ideale per succedere ad Hahn, Goudevert Era il favorito perché vicino alla SPD e in accordo con il sindacato. Piech trovò il contatto ideale con l’Ig Metall e nel 1993 diventò ceo del gruppo. Il ceo di Vw deve servire molti padroni, il lavoro di un Marchionne è molto più semplice, alla fine deve rispondere solo agli Agnelli. Il capo di Vw deve giostrarsi tra Ig Metall, politici della Bassa Sassonia e dal 2005 in poi anche la Porsche SE. Eppure lo spietato Piech riusciva ad imporre sempre le sue idee, anche le più assurde come la Phaeton o lo shopping di lusso del 1998. Schröder in privato disse di essere terrorizzato da Piech a cui avrebbe potuto togliere la fiducia in un battito. La lista dei manager fatti fuori da Piech è infinita, spesso erano manager che portavano a casa risultati ma che Piech non esitava a silurare se non li riteneva degni oppure se non erano conformi alle sue scelte strategiche.
Piech ha creato per la propria famiglia ( nel senso di tutti i Porsche e Piech) anche un impero che avrebbe fatto l’invidia del nonno. Nel 2000 Jaques Nasser, ceo di Ford, voleva comprarsi il 100% di Vw, Piech attivò la politica (allora era cancelliere Schröder) e non se ne fece nulla ma da allora inizia a mettersi in moto la scalata di Porsche. Senza entrare nei complicati dettagli, Piech aveva un conflitto di interessi macroscopico nella lotta tra Porsche e Vw. In quanto presidente del consiglio di sorveglianza di Vw avrebbe dovuto difendere Wolfsburg da una scalata che una volta portata a termine lo avrebbe reso miliardario. Il vecchio Ferdinand rischiò il fallimento della Porsche (quindi di sé stesso) pur di imporre una fusione secondo i desiderata dei potentati di Wolfsburg. I Porsche-Piech sarebbero diventati primi azionisti ma limitati dal sindacato e dalla bassa Sassonia.
Sicuramente Piech non è responsabile del dieselgate ma altrettanto indubbiamente ha creato l’ambiente in cui questo scandalo ciclopico è potuto sorgere. Un episodio fa capire il delirio di onnipotenza di Piech: al salone di Francoforte del 1997 fu svelata la Golf IV. Bob Lutz (allora ceo di Chrysler ed uno dei più importanti manager dell’auto negli ultimi 40 anni) si complimentò per gli eccellenti accoppiamenti che neanche BMW poteva eguagliare. Piech rispose che era stato facilissimo, aveva convocato gli ingegneri 6 mesi prima dell’inizio della produzione della Golf IV e minacciato di licenziamento se non fossero riusciti a raggiungere i target fissati. Esempi di questo tipo ce ne sono a migliaia: il climatizzatore della Phaeton, la trazione Quattro, la Lupo 3L/100 km, la Bugatti Veyron... Ferdinand Piech era il capo-parente che nessuno avrebbe voluto avere neanche un giorno in tutta la vita.
Gli ultimi anni sono stati piuttosto dolorosi per Piech. Nel 2015 tentò di disarcionare Winterkorn e ne uscì sconfitto. Nessuno tra il sindacato, Bassa Sassonia oppure il suo stesso fratello Hans Michael Piech lo sostenne. Alla fine sarebbe stato travolto lo stesso pochi mesi più tardi dal dieselgate. Pur fuori dalle stanze dei bottoni Piech manteneva un’influenza enorme dato che risultava uno dei maggiori azionisti di Porsche Se. Eppure per 2 anni continuò a combattere contro la sua stessa famiglia che alla fine per disperazione dovette comprarsi le quote. Alla fine per Piech i soldi contavano pochissimo, era fondamentale il potere. Nel mondo dell’auto di oggi una figura simile è impossibile e secondo me neanche auspicabile, eppure colui che beffardamente sosteneva di poter superare la grandezza di suo nonno ha avuto l’ultima risata.
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