Senza alcuna pretesa di completezza ed esaustività, vorrei raccogliere qui un po' di informazioni a proposito di un motore che definire golrioso non è un eufemismo: il V6 Alfa. Spero che i dati riportati sino corretti, così come spero che si possa raccogliere tanto altro materiale a riguardo.
Buona lettura!
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Introduzione
La nascita industriale dell’Alfa Romeo come costruttore di auto di grande serie si può datare al 1955, in coincidenza alla nascita della Giulietta. Il modello successivo, la Giulia, confermò la validità della formula Alfa come espressione d’auto di prestazioni superiori rispetto alle concorrenti.
Crescevano, nel contempo, le dimensioni esterne delle berline Alfa con i conseguenti miglioramenti dell’abitabilità e della capacità di trasporto dei bagagli. Verso la fine degli anni ’60 circolavano i prototipi dell’Alfetta, una vettura più spaziosa e potente della Giulia, che si caratterizzò per soluzioni meccaniche particolali come il gruppo frizione-cambio-ponte sistemato sull’asse posteriore. In quegli anni i mercati erano in piena espansione ed in questa atmosfera di forte ottimismo fu concepita l’ammiraglia Alfa Romeo alla quale spettava il compito di creare un segmento superiore a quello dell’Alfetta, sia per le dimensioni che per le potenze installate. La cilindrata doveva, conseguentemente, essere superiore ai due litri ed il passaggio ad un 6 cilindri fu una conseguenza inevitabile di questa evoluzione poiché l’esperienza maturata negli anni ’50 con i 6 cilindri in linea sconsigliava questa architettura a causa dei problemi torsionali dell’albero a gomito che limitavano il potenziale prestazionale del motore. Fu deciso, perciò di studiare un’unità con i cilindri disposti a V la cui compattezza lo rendeva installabile entro un tradizionale vano motore senza dover ricorrere a lunghi sbalzi anteriori della vettura che, a pari lunghezza di veicolo, si sarebbero tradotti in riduzione dell’abitabilità longitudinale della vettura. E’ il caso di dire che si tratto di una scelta molto fortunata poiché la compattezza del motore ne rese possibile, anni dopo, l’utilizzo in posizione trasversale: a partire dal modello 164 esso è diventato il cavallo da battaglia delle ammiraglie del gruppo Fiat, di berline come la 156 e dei modelli sportivi Alfa. Le attività di progetto sul motore e sul corpo della nuova vettura, in seguito denominata Alfa 6, si interruppero bruscamente nel 1974 a seguito della crisi energetica di quegli anni. Passato il momento critico il programma fu ripreso e rilanciato, anche perché la presenza dell’industria italiana nella fascia di berline da 2 a 3 litri nel mercato italiano era oltremodo modesta, con solo l’1% di macchine nazionali di tali cilindrate immatricolate verso la fine degli anni ’70. Con queste positive opportunità di mercato nacque l’Alfa 6 , che vide la luce nell’anno 1978.
La prima versione del 6 cilindri a V
Il motore dell’ammiraglia Alfa del 1978 era un 6 cilindri a V di 60° dal volume di 2492 cm3 con diametro di stantuffo di 88 mm e corsa di 68,3 mm. I precedenti storici dei prodotti Alfa insegnavano che questa cilindrata era solo la base di partenza verso sviluppi superiori e, difatti, dopo qualche anno il propulsore crebbe sino a 3000 cm3. La disposizione dei cilindri con il V di 60° fu preferita perché, come prima detto, il motore era più corto di un 6 cilindri in linea e più stretto di un 6 cilindri con un V di 90°; lo sviluppo in altezza era intermedio fra i 6 cilindri dell’epoca. L’albero a gomiti era soggetto a ben più modeste vibrazioni torsionali di un 6 in linea che, invece, soffriva di queste eccitazioni che ne limitavano le prestazioni agli alti giri. Il corto albero a gomiti del V6 poggiava su quattro supporti di banco. Le eccitazioni trasmesse dal motore ai suoi supporti erano piuttosto limitate perché consistevano in piccole coppie d’inerzia del secondo ordine non equilibrate e, perciò di modesti effetti sul comfort della vettura. Le teste motore erano caratterizzate dalla disposizione a V stretto delle valvole: l’angolo di 46° ricordava molto da vicino la geometria del 4 cilindri GTAM e questo valore come sappiamo, divenne il parametro principe per l’impostazione del Twin Spark.
Il comando valvole richiese parecchie attenzioni da parte dei progettisti: la tradizione Alfa poggiava sul comando diretto delle valvole da parte degli alberi a camme, ma per realizzare ciò su un motore a V occorrevano quattro assi con relative pulegge di comando. I tempi non erano ancora maturi per questa soluzione giudicata, all’epoca poco agibile perché, a seguito delle difficoltà di mercato provocate dalla crisi energetica, si stavano diffondendo in Alfa certe tendenze contro i costi dei due assi a camme e dei quattro carburatori dei 4 cilindri: Per fortuna questo impasse fu presto superato (anzi, l’avvento del 4 valvole per cilindro diffuse in tutto il mondo il comando diretto delle valvole con la conseguente erosione di questo vantaggio storico Alfa) ed il 4 cilindri mantenne il suo primato, che divenne ancora più sostanziale con il Twin Spark del 1987. Per il progetto del comando valvole del nuovo 6 cilindri a V venne studiato un sistema di distribuzione nel quale un asse a camme 1 comandava direttamente le grosse valvole di aspirazione (diametro 41 mm), mentre le più piccole valvole di scarico, come sempre raffreddate al sodio, si alzavano mediante l’azione di un bilanciere, che si muoveva sotto la spinta di un’asta comandata dall’asse a camme. I due alberi di queste e le relative pulegge di comando erano disposte all’interno del V e ciò contribuiva a contenere l’ingombro trasversale del motore. Il primo 2500 cm3 nacque con un rapporto di compressione di 9:1. La casa dichiarava 117,6 kw di massima potenza al regime di 5800 giri/min. ed una coppia massima di 228 Nm a 4000 giri/min.
Le evoluzioni della famiglia 6 cilindri.
Dopo 4 anni dal lancio del primo 6 cilindri fu sviluppata una versione 2000 cm3, nata per ampliare il mercato di un motore che a quei tempi era penalizzato da norme fiscali che colpivano pesantemente i motori a benzina di oltre 2 litri di cilindrata. Non fu un’operazione tecnicamente ineccepibile poiché un simile 2 litri era, certamente più pesante, più costoso e meno efficiente del classico 4 cilindri in linea, ma si rese necessaria per mantenere in vita un modello di vettura che, dopo una turbinosa gestazione, sopravviveva con molte difficoltà: I precedenti storici dei prodotti Alfa insegnavano che la prima cilindrata era solo la base di partenza verso sviluppi superiori. Dopo qualche anno, difatti il propulsore crebbe sino a 3000 cm3 poiché il mercato italiano cominciava a divenire più maturo e venne il momento di accrescere le prestazioni del 6 cilindri: la presentazione del 3 litri avvenne nel febbraio 1987 allorché il rilancio della vettura Alfa 75 fu affidata a questo motore ed al 4 cilindri Twin Spark che entrò nel mercato in questa occasione. Una versione del 3000 cm3 con 141 Kw di potenza massima al regime di 5600 giri/min. e 245 Nm di coppia massima a 30000 giri/min. (con diametro di 93 mm e corsa di 72,60 mm) fu installato sulla berlina 164, che venne presentata alla stampa nel settembre 1987.
Agli inizi del 1987 era già iniziata la progettazione della versione 2000 turbo, il cui lancio avvenne nel 1991 sulla berlina 164, che con questo motore si pose al vertice della propria categoria. Tale realizzazione fu resa possibile per la flessibilità offerta dagli avanzati sistemi elettronici di controllo motore a tecnologia digitale e per la capacità del motore plurifrazionato di resistere a potenze specifiche molto alte : il V6 turbo ricevette, anche, interessanti miglioramenti funzionali, quali il controllo della detonazione cilindro per cilindro , un‘affinata gestione della sovralimentazione e l’applicazione in un secondo tempo , dell’acceleratore elettronico. Esso fu il primo motore a 6 cilindri, costruito in grande serie, in grado di erogare potenze specifiche superiori a 76 Kw/litro. La potenza massima era di 152 Kw a 6000 giri/min ed esibiva una coppia massima di 306 Nm a soli 2750 giri/min.
L’anno successivo, il 1992 vide la nascita della versione a 24 valvole. Su questo nuovo 3 litri ci soffermeremo a lungo nel paragrafo successivo.
Il 6 cilindri a 24 valvole.
La nascita della versione a 24 valvole del 6 cilindri 3 litri, fu la naturale evoluzione del tradizionale 12 valvole e segnò la rivitalizzazione di certi modelli di vettura che con questo motore poterono acquisire una maggiore competitività. Così come di prassi, il 24 valvole ha derivato molti degli elementi del primitivo 12 valvole che formavano quella parte del motore che si trova al di sotto della guarnizione della testa. Ciò è avvenuto per il basamento, le canne, l’albero a gomito, la pompa olio con relativo filtro, la coppa olio e vari accessori secondari.
Specifici del 24 valvole sono, invece , gli stantuffi e tutti gli elementi della parte alta del motore quali le teste cilindri (in alluminio), le valvole e i quattro alberi a camme con il sistema di comando di questi ultimi, il trascinamento degli accessori ed il sistema elettrico di accensione comprendente il controllo della detonazione e le innovative candele di accensione che furono munite di bobine singole.
Le teste del 24 valvole.
Nei 4 cilindri Twin Spark si sperimentarono i benefici apportati dalla “verticalizzazione” delle valvole di questo motore ottenuta con l’adozione di un angolo di 46° tra gli assi valvole in luogo del precedente 80°. Uno di miglioramenti consisteva nell’ottenimento di una camera di combustione di superiore compattezza rispetto ai precedenti motori Alfa (ciò contribuiva a ridurre le perdite di calore per il più favorevole rapporto superficie/volume della camera) mentre l’ulteriore , importante beneficio consisteva nell’ottenimento di un condotto di aspirazione meno curvilineo realizzandosi, con ciò un, maggiore riempimento del motore. Come dicemmo, il primo progetto del motore 6 cilindri è partito con un angolo di 46° tra le valvole , ma per il 3000 a 24 valvole si sono estremizzati ancor più questi concetti, si nota tra l'altro che l’angolo tra le valvole è di 37°10 per una testa alta 135 mm.
La migliore efficacia del sistema di aspirazione del 24 valvole appare dall’andamento del relativo condotto, appare abbondantemente verticale rispetto all’asse cilindro. La permeabilità del nuovo motore è sempre superiore al 12 valvole. L’andamento del condotto di aspirazione fa presupporre un forte effetto “tumble” con le conseguenti maggiori vorticosità dei moti dell’aria nella camera di combustione.
I forti stress termici ai quali è sottoposta la testa del 24 valvole hanno richiesto una delicata messa a punto del sistema di raffreddamento dell’interno testa. Sono state all’uopo create adeguate vie di circolazione dell’acqua per far nascere moti turbolenti in grado di massimizzare il trasferimento di calore dal metallo al liquido. Flussi d’acqua particolari sono stati istituiti per il raffreddamento dei condotti di scarico nella testa e nelle zone ove sono state avvitate le candele.
La distribuzione del 24 valvole ed il comando degli accessori.
Il sistema di distribuzione che si avvale di quattro assi a camme , è stato come al solito, oggetto di estensive ricerche ai banchi prova sotto varie condizioni operative di carico e di giri. La scelta finale è caduta su alzate eguali per aspirazione e scarico (9,3 mm) e fasature simmetriche (10/46 per aspirazione e 46/10 per lo scarico). Gli alberi a camme comandano le valvole di aspirazione (diametro 35,7 mm) e quelle di scarico (31,2 mm) tramite bicchierini idraulici che assicurano il controllo automatico del gioco valvole.
I 4 assi a camme sono comandati da una cinghia dentata di 28 mm di larghezza : Il sistema fu studiato in modo da garantire la presa di almeno 8 denti delle pulegge e a ciò provvede un apposito tendicinghia , munito di ammortizzatore idraulico che frena le eventuali oscillazioni della cinghia, che è in grado di mantenere la giusta tensione nel tempo e per tutte le condizioni di funzionamento del motore. La vista frontale presenta il “giro cinghia” che è evidenziato in figura con apposita colorazione rossa. La stessa figura mostra anche il comando degli accessori (alternatore, compressore del condizionatore, etc…) realizzato con un’unica cinghia poli-V, munito anch’esso, di tenditore automatico e relativo ammortizzatore idraulico. Il layout degli accessori è stato studiato in modo da ridurre al minimo l’ingombro longitudinale del propulsore, sistemato trasversalmente nel vano motore, e ciò giustifica l’utilizzo di una sola cinghia poli-V la cui affidabilità si è dimostrata sufficiente per assicurare una durata del sistema per più di 100.000 km.
Ci limitiamo a ricordare che iniezione ed accensione erano fasate in funzione dei giri motore e del carico, e che alla nascita del motore, il sistema includeva il sistema a retroazione con la sonda ad ossigeno. L’accensione della miscela era del tipo statico con una bobina per cilindro. L’assenza dei cavi di alta tensione entro il vano motore eliminava, anzitutto, le eventuali cause di anomalie di questi ultimi e minimizzava la possibilità di interferenze elettromagnetiche con altri componenti elettrici del veicolo.
È il caso di ricordare qui che con la nascita di questo motore fu messa a punto una candela dalla vita molto lunga poiché, data la complessività del gruppo , si ritenne importante amplificare gli intervalli di manutenzione di questo fondamentale accessorio. Le candele tradizionali soffrivano di svariati inconvenienti, il primo dei quali riguardava l’aumento della distanza tra gli elettrodi nel tempo. Per evitare questa situazione, origine di derive della combustione con conseguenze negative sulle emissioni allo scarico, sono nate candele con speciali inserti di platino applicati agli elettrodi e ciò fu sufficiente per eliminare qualsiasi tipo di usura di origine elettrica e chimica. La configurazione geometrica rimaneva costante nel tempo e tali erano, anche le caratteristiche della candela e la combustione della miscela. Nel caso della candela tradizionale la distanza tra gli elettrodi (electrode gap) è cresciuta di circa 7 volte dopo 400 ore di durata e dopo ulteriori 50 ore si è avuta la rottura dell’elemento. La candela innovativa era integra dopo 500 ore ed il gap tra gli elettrodi era cresciuto di solo 0,15 mm. Poiché a 100 ore di banco corrispondono circa 20.000 km di durata strada se ne deduce che simili candele assicuravano una vita su vettura di oltre 100.000 km.
Il 6 cilindri di 3,2 litri.
In occasione del lancio della 156 GTA avvenuto nel febbraio 2002 la cilindrata del 6 cilindri è stata portata a 3179 cm3. Lo stantuffo ha mantenuto il diametro dell’originale 3 litri (93 mm) e l’aumento della cilindrata è stato ottenuto accrescendo la corsa, divenuta ora di 78 mm. Questa soluzione, che ha richiesto un nuovo albero a gomiti, è stata imposta dal pericolo di detonazione conseguente ad un improvvido aumento del diametro di stantuffo già al limite con i suoi attuali 92 mm.
Il rapporto di compressione adottato per questo motore è di 10,5:1; la potenza massima dichiarata è di 184 Kw. a 6200 giri/min. e la coppia massima si ha a 4800 giri/min. con il valore di 300 Nm.
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Ciò che mi ha colpito leggendo questo breve racconto (sono sicuro che potrete portare tanto altro materiale!!) è stato il tipo di mentalità che traspare dalla struttura del motore. Albero motore corto, accurata riduzione delle vibrazioni, alesaggio ampio e corsa corta (anche nel 3200cc!), ridotto ancogolo tra le valvole nella versione 24v e giustamente angolate nella 12v, condotti rettilinei di aspirazione. Tutto focalizzato all'ottenimento delle massime prestazioni. E' persino bello, oserei dire stupendo, da vedere.
Anche se non certo privo di difetti (elevato turbolag nella versione turbo, consumi sempre elevati, manutenzione complessa a causa degli ingombri quando disposto trasversalmente, distribuzione a cinghia che fece dannare i progettisti), questo motore ha retto come una roccia per decenni.
Manca di sicuro un commento sull'aspetto emozionale, sull'incredibile sonorità che ha sempre contraddistinto questo motore, così come nel comportamento estremamente sportivo che lo ha sempre caratterizzato. Così come è doveroso ricordare l'Ingegner Giuseppe Busso, il papà di questa scultura.